Una luce incredibile che, secondo molti viaggiatori, non c’è in nessun altra parte al mondo.
Limpida, trasparente, impalpabile ma nello stesso tempo reale. Così reale da poter essere osservata ad occhio nudo e anche negli scatti fotografici che riescono a coglierne l’essenza, fissata in istantanee di stupefacente nitidezza.

Forse è dovuta alle particolari condizioni climatiche, forse ai contrasti cromatici, forse alla quasi totale mancanza di inquinamento atmosferico, forse all’aria tersa che scende dalle alte montagne himalayane. Resta il fatto che il Mustang è fatto anche di questa luce, indimenticabile.

L’antico Regno di Lo, un concentrato di Tibet in terra nepalese, è una terra di montagne aride, aspre. Di polverosi deserti di alta quota, di profondi canyon, al di sopra dei quali svettano le cime di due “ottomila”: l’Annapurna e il Daulaghiri che chiudono a Sud la valle del Kali Gandaki.

Il fiume scorre nella parte bassa del Mustang, tra terrazzamenti coltivati a grano saraceno, orzo e senape. In agosto i campi fioriti si colorano di rosa, bianco e giallo, creando un contrasto cromatico straordinario con la grigia piana alluvionale, le brune montagne e il cielo blu, dove si rincorrono incessanti le nuvole sospinte dai venti in quota.
Basterebbe questo gioco di colori a regalare emozioni.

Ma in Mustang c’è molto di più.

Ci sono gli sperduti villaggi, costruiti in pietra, fango e con mattoni di terra cruda, a volte intonacati di bianco, ocra, rosso e nero, i colori di questa terra, abitata da gente sorridente e ospitale, che vive seguendo i dettami del Buddismo. Ed è proprio questa antica dottrina a impregnare ogni luogo e ogni anima, contagiando anche il visitatore più refrattario.

Il lamaismo è nei numerosissimi chorten che si incontrano lungo la strada, nei bellissimi Gompa, che custodiscono pitture tra le più raffinate del mondo buddista (alcune delle quali restaurate grazie al lavoro di un nostro connazionale, Luigi Fieni), nei muri mani, tra cui quello vicino a Ghami che è il più lungo del Nepal, nel mantra della compassione universale, Om mani Padme Hum, scolpito ovunque nelle rocce e salmodiato da donne, uomini, vecchi e bambini, che lo ripetono incessantemente perché risuoni nel vento.

Religione, misticismo e sciamanesimo si mischiano e si confondono in questa terra fatta di leggende, dove le rocce di Dhakmar sono rosse perché colorate con il sangue di un demone ucciso da un santo buddista e la zona intorno a Mukthinath, dove i raccolgono i Saligram, i fossili di ammonite, è considerata sacra da più religioni.

E viene da pensare che anche quella luce incredibile sia dovuta alla presenza del divino.

IL VIAGGIO PERFETTO PER TE

Mustang, l'antico Regno di Lo

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